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Milano 25 settembre 2007
Non basta combattere il fascismo all’esterno, bisogna combatterlo anche “dentro di sé”. Vissuto nell’epoca delle grandi dittature, Arturo Toscanini, oggi ricordato come uno dei massimi direttori d’orchestra, fu fervente antifascista e antinazista. Ma in teatro, e talvolta nella vita privata, fu dittatore e fascista anche lui; e non per orientamento politico, ma per “temperamento”. Oltre ai grandi meriti artistici, Toscanini realizzò anche alcune interessanti riforme di ordine pratico (luci spente in sala, ingresso vietato ai ritardatari, sipario che si chiude al centro al posto di quello calato dall’alto, niente bis e niente cappelli per le signore in platea. Arrivò persino a negare al duca Uberto Visconti di Modrone, uno dei maggiori finanziatori del Teatro alla Scala, la possibilità di salire sul palcoscenico), ma lo fece attraverso l’imposizione della propria autorità, senza mai cercare un colloquio con la parte avversa e, spesso, tramite l’umiliazione altrui. Lo fece, dicono, in nome dell’arte. Ma nessuna ragione, per elevata che sia, giustifica l’umiliazione del prossimo: e l’Essere Umano viene prima di tutto, e sicuramente anche prima dell’arte. Coloro che lo conobbero ritengono che Toscanini non fosse “buono”; e non era “buono” perché in realtà era un timido che nascondeva i propri complessi dietro un comportamento dittatoriale. Certo, dalla timidezza e dai complessi nascono molti mali e aberrazioni. Vizienczey dice che “I codardi sono pericolosi”. E lo dice a proposito dell’Hauptsturmfuhrer delle SS Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka. Il soprano Emma Eames scrisse che Toscanini fuori teatro era la cortesia fatta persona, ma non appena alzava la bacchetta si trasformava nell’esatto contrario. E Shostakovich: “Toscanini strillava e inveiva contro gli esecutori, faceva scenate spaventose, e ai poveri orchestrali non restava che fare buon viso a cattivo gioco, pena il licenziamento”. La debolezza a volte può far dimenticare il rispetto del prossimo, e quando si perde il rispetto del prossimo o la semplice umana compassione, si diventa facilmente “fascisti”. “Tutti mi credono un carattere forte” diceva di se stesso Toscanini, “e non sono che un debole”. A riprova che è sempre la debolezza (la debolezza occultata dietro una forza fittizia) che genera il “fascismo”. Personalmente ritengo che Toscanini possedesse una grande carica di umanità che tuttavia non sfruttò del tutto, non quanto la sua singolare personalità gli avrebbe permesso. Dimostrò molta dignità nella lotta contro il fascismo, ma non altrettanta nella vita privata. La verità è che qualche incauto biografo vorrebbe spacciare il suo comportamento per “dongiovannismo”, ma troppo spesso “dongiovannismo”, all’interno del matrimonio, è l’eufemismo ipocrita sotto il quale si nasconde il gretto adulterio. “Un uomo può avere delle amanti, ma deve avere per tutta la vita una sola moglie” era il suo motto: atteggiamento d’ipocrita finzione che trova l’uguale in quel Benito Mussolini che egli così coraggiosamente avversava. Dava del fascista a molti colleghi, persino a De Sabata che era ebreo. Quell’avversione era probabilmente un modo per esorcizzare il fascista che era in lui: accade che spesso detestiamo negli altri proprio quegli aspetti che sentiamo anche nostri, senza tuttavia riconoscerli apertamente. La sfida personale è prendere coscienza di tali aspetti e adoperarsi per superare i propri limiti. È una sfida che richiede obiettività e coraggio, ma spetta a ogni individuo che voglia porsi a capo di una nazione, di un’orchestra, o semplicemente al comando di se stesso e della propria vita.

“Non mi aspetto nulla di buono da un uomo brutale. E poco importa quale sia il campo d’azione di questi, politica o arte. Sempre e ovunque, l’uomo brutale tenterà di farsi dittatore, tiranno, mirerà a opprimere i suoi simili”.

    Dmitrij Shostakovich
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